Dal 2018, anno in cui ho intrapreso la mia avventura come guida overland in Namibia, questo Paese non ha mai smesso di affascinarmi. Ogni viaggio, ogni incontro, racchiude una storia che merita di essere raccontata. Questo articolo è il secondo di una collana dedicata agli incontri meno noti ma per me più interessanti della Namibia: luoghi e momenti che hanno lasciato un segno profondo nel mio cuore.
Ad agosto, insieme alla mia compagna, abbiamo deciso di esplorare il sud del Paese, una regione che per anni avevo desiderato conoscere più a fondo. A bordo del nostro 4×4 con tenda sul tetto, abbiamo percorso le lunghe strade polverose tipiche della Namibia, diretti verso Lüderitz. Era una giornata fresca e luminosa, tipica dell’inverno namibiano, quando siamo entrati in una valle sconfinata. Il paesaggio era un mosaico di sfumature dorate, dove il sole sembrava giocare con la sabbia e le erbe secche.

In questa valle si trovano i cavalli selvaggi di Aus, animali che sembrano sospesi tra il mito e la storia. Li avevamo già intravisti lungo il ciglio della strada: maestosi e fieri, con le criniere mosse dal vento e uno sguardo vigile. Ogni movimento sembrava studiato, come parte di una danza naturale con il deserto.
Ci siamo fermati a un punto di osservazione: un piccolo capanno con una tettoia in lamiera e un muretto di sassi, affacciato su un abbeveratoio artificiale. Era lo stesso luogo dove, nel 2018, avevo osservato questi cavalli riuniti: fieri, a volte irrequieti, con stalloni che si sfidavano alzandosi sulle zampe posteriori. Questa volta, però, erano gli orici a dominare la scena, silenziosi e maestosi, intenti ad abbeverarsi con calma.
La storia di questi cavalli è tanto affascinante quanto incerta. Si dice che siano discendenti dei cavalli portati dalle truppe tedesche durante la Prima Guerra Mondiale, o forse fuggiti da ranch locali. Adattatisi a un ambiente ostile come quello del deserto del Namib, questi cavalli sono diventati un simbolo di resilienza e libertà. Sono spesso identificati come cavalli di razza pura o derivati da incroci tra cavalli militari tedeschi e cavalli Arabi o Nonius, sebbene non esistano conferme genetiche definitive.

Per comprendere meglio le loro caratteristiche biologiche, è interessante sapere che Equus ferus caballus discende dal selvaggio Equus ferus, domesticato circa 6.000 anni fa nelle steppe dell’Asia centrale. Da allora, i cavalli hanno accompagnato l’uomo in viaggi, battaglie e migrazioni, adattandosi a climi e ambienti diversissimi. I cavalli di Aus ci ricordano proprio questa lunga storia di adattamento, incarnando l’essenza della libertà e della sopravvivenza.
Osservarli in libertà è un’esperienza unica. Li abbiamo visti rotolarsi nella sabbia, sollevando nuvole dorate che brillavano sotto il sole. Non era solo un gesto istintivo per liberarsi dai parassiti, ma un momento che racchiudeva tutta la bellezza e l’essenza della vita selvaggia.
Il paesaggio che li circonda non è da meno: la valle è un luogo dove ogni elemento sembra raccontare una storia. Ad agosto, l’inverno rende il clima piacevole durante il giorno, con temperature miti che contrastano con le notti fredde. Questo equilibrio tra calore e freschezza si riflette anche nel fascino del territorio.
I cavalli di Aus non sono solo una curiosità per i viaggiatori. Sono un simbolo di forza, adattamento e libertà. La loro presenza ci ricorda che la natura trova sempre un modo per prosperare, anche nelle condizioni più difficili. Per me, raccontare la loro storia non è solo un modo per condividere un momento speciale, ma anche un invito a riflettere su come possiamo imparare a rispettare e convivere con il mondo naturale.
Questo articolo è solo un capitolo del mio viaggio attraverso la Namibia. Ci sono altri luoghi, altre storie che meritano di essere raccontate. La prossima volta vi porterò in un altro angolo straordinario di questo Paese, dove la bellezza della natura si intreccia con storie indimenticabili. Restate con me per scoprire il prossimo capitolo di questa avventura.
