Vivere in Namibia è un vero privilegio perché si è immersi in un concentrato di bellezze naturalistiche rare e sorprendenti. Esplorando per molti mesi all’anno questo paese ho la possibilità di apprezzare attrazioni, paesaggi e creature che non sempre sono così famose o valorizzate ma che meritano una menzione.
L’obiettivo del mio blog è raccontare le mie esperienze e dare valore alla rarità che incontro, quindi iniziamo questo viaggio alla scoperta di una creatura pazzesca che vive tra la Namibia e il sud dell’Angola, la Welwitschia mirabilis.
Non è un cespuglio, non è nemmeno un fiore come lo intendiamo noi. È un fossile vivente, un relitto del tempo, una creatura vegetale così unica da meritarsi una sua famiglia botanica: le Welwitschiaceae. Una pianta che non ha mai avuto fretta, che respira il deserto da più di duemila anni e continua a crescere, imperterrita, mentre tutto intorno a lei cambia.

Un incontro con il passato
Ogni volta che accompagno i miei ospiti nella Foresta Pietrificata della Namibia, un sito geologico davvero magico che probabilmente descriverò in un prossimo articolo, ci fermiamo davanti a una Welwitschia. È impossibile ignorarla. All’inizio, chi non la conosce la guarda con scetticismo e sufficienza: un groviglio di foglie slabbrate, scomposte, appiattite sulla sabbia come se fossero state dimenticate dal tempo.
Ma poi arriva la meraviglia. Quella pianta è viva!
Le sue due uniche foglie, nate con lei centinaia di anni fa, non smettono mai di crescere. Si sfilacciano, si contorcono sotto il sole, si lacerano con il vento, ma non cadono mai. È come se il deserto stesso le avesse donato il segreto dell’immortalità. Sotto di loro un tronco tozzo e legnoso si mimetizza con la sabbia, cresce in larghezza più che in altezza, come un cuore antico che batte nascosto tra le sabbie e le ghiaie del Namib.
Un altro luogo incredibile dove ammirare Welwitschia di dimensioni straordinarie è la regione vicino a Swakopmund, nella Valle della Luna. Qui, in un paesaggio surreale fatto di colline erose dal vento e da un importante fiume effimero, alcune di queste piante hanno oltre mille anni. Osservarle in quel contesto, con il silenzio assoluto del deserto intorno, è un’esperienza che lascia senza fiato.

Un nome, un destino
Nel 1859, il botanico austriaco Friedrich Welwitsch la vide per la prima volta nel cuore dell’Africa. Dicono che si sia inginocchiato davanti a lei, incapace di credere a ciò che aveva davanti. Una pianta così primitiva, resistente, fuori dal tempo.
Eppure, nonostante il suo stupore, la pianta non prese il nome che lui avrebbe voluto darle: Tumboa, come la chiamavano i locali. Questo termine deriva dalla parola angolana “N’Tumbo”, che significa “ceppo”. Questa connessione etimologica potrebbe riferirsi alla forma tozza e massiccia della pianta, che ricorda un ceppo o un tumulo.
Fu l’eminente scienziato inglese Joseph Dalton Hooker a imporre il nome Welwitschia, in onore di chi l’aveva scoperta.
Ma a me piace pensare che la vera scoperta sia stata dell’uomo che, migliaia di anni fa, si fermò ad osservarla e capì che quella pianta non si sarebbe mai arresa.
Gimnosperme e angiosperme: una pianta tra due mondi
Le piante con semi si dividono in due grandi gruppi:
- Le Gimnosperme, come le conifere e il Ginkgo biloba, che producono semi non racchiusi in un frutto e si riproducono attraverso coni.
- Le Angiosperme, le piante da fiore, che producono semi protetti all’interno di un frutto.
La Welwitschia mirabilis è una gimnosperma, il che significa che non produce fiori ma coni riproduttivi, un po’ come i pini. Tuttavia, la sua morfologia è così unica che alcuni studiosi la considerano un possibile anello di congiunzione tra gimnosperme e angiosperme, una pianta che porta in sé segreti di entrambe le famiglie.


I coni della Welwitschia: maschi e femmine
A differenza di molte piante che hanno fiori ermafroditi, la Welwitschia è dioica, cioè ogni individuo è maschio o femmina.
- I coni femminili sono verdi con striature rosso-marroni e più grandi, fino a 8 cm di lunghezza. Ricordano vagamente le pigne delle conifere.
- I coni maschili, più piccoli e di colore marrone, producono polline che viene trasportato dal vento e dagli insetti fino ai coni femminili.
Ed è qui che entra in scena un protagonista inaspettato: l’insetto impollinatore della Welwitschia.

La simbiosi con l’Emittero Probergrothius angolensis
Nel deserto, ogni risorsa è preziosa e niente è lasciato al caso. La Welwitschia ha stabilito un rapporto unico con un insetto appartenente all’ordine degli Emitteri, lo stesso di cimici e cicale, il Probergrothius angolensis.
Questo insetto è attratto dai coni maschili e si nutre del loro polline. Mentre si sposta da una pianta all’altra, trasporta il polline fino ai coni femminili, favorendo la fecondazione.
Gli animali che si cibano della Welwitschia
Sebbene le foglie della Welwitschia siano dure e coriacee, alcuni mammiferi riescono comunque a nutrirsene. Tra questi:
- Cavalli selvatici del Namib, che mordicchiano le foglie giovani.
- Rinoceronti neri, che occasionalmente si nutrono delle parti più morbide.
- Elefanti del deserto, che strappano e masticano le foglie prima di sputarne le fibre.
- Zebre e orici, che consumano i nuovi germogli dopo le piogge.

La Welwitschia mirabilis è molto più di una semplice pianta: è un simbolo di resistenza, un monumento vivente all’adattamento e alla forza della natura. La Namibia le ha reso omaggio non solo inserendola nel proprio stemma nazionale, ma anche dedicandole la sua massima onorificenza: l’ Ordine dell’Antichissima Welwitschia mirabilis . Come questa pianta sfida il tempo e le avversità, così il suo nome è riservato a chi lascia un segno nella storia del paese.
Nata per sopravvivere dove tutto sembra destinato a scomparire, la Welwitschia non è solo una creatura del deserto: è la dimostrazione che, anche nei luoghi più inospitali, la vita trova sempre un modo per resistere e stupire.